TRA PIANTI E CAPRICCI 
L’importanza di sapere cogliere lo stato emotivo del bambino 

Di Michela Romano, psicologa psicoterapeuta
www.michelaromanopsicologapsicoterapeuta.it 

 
 

Uno dei linguaggi assai utilizzati dal bambini è quello del pianto. Lo utilizzano per tantissimi motivazioni. Quando sono arrabbiati, quando sono stanchi, quando hanno una emozione forte, quando hanno bisogno di essere coccolati e rassicurati, quando hanno bisogno di essere contenuti. 

Il pianto arriva quando per il bambino la sua emozione diventa non più contenibile e, assai spesso, quando arriva è difficile calmarlo in tempi rapidi, ci vuole tempo. Quale il motivo? Il bimbo ormai dentro la sua emozione, non sa bene cosa lo stia facendo stare male, cosa lo stia facendo indispettire e la sua unica valvola di scarico è appunto il pianto. 

Come e in che modo il genitore o il caregiver possono intervenire per rasserenare il bambino? La prima cosa da fare è comprendere la natura del pianto. 

Se il pianto del bambino è legato ad un disagio perchè sta male, perché si è spaventato o anche troppo stanco, perché emotivamente provato, il genitore è importante che lo prenda in braccio o comunque lo consoli essendo vicino a lui fisicamente. Molte volte un abbraccio, vigoroso e presente permette al bambino di sentirsi contenuto e man mano si rasserena, così come inizialmente può non volere quella vicinanza perché troppo scombussolato dalle sue emozioni. 

Proviamo ad immaginare che il bambino sia caduto, si sia fatto male e che si sia anche spaventato. In quel momento dirgli che deve stare più attento non solo non serve a nulla ma il bambino può sentirsi non capito dal genitore. In quel momento è importante stargli vicino emotivamente; un esempio: “amore, ti sei fatto male, mi spiace, vieni qui che c’è la tua mamma, vieni in braccio, so che ti fa male, mi dispiace, adesso laveremo il ginocchio e vedrai che piano piano passerà. Poi insieme andremo a dire a quel brutto sasso che ti ha fatto cadere che è brutto e cattivo e che non ti deve fare più cadere”. In questo modo il bimbo si sente completamente riconosciuto nella sua emozione, sente che il caregiver è vicino a lui, che gli dispiace ma che si occupa anche di lui; il genitore è infatti sintonizzato con l’mozione del bambino e questo rassicura il piccolo.  

Assai diversa è invece la situazione in cui il bambino è arrabbiato, piange perché vuole ottenere qualcosa che noi al momento non possiamo o riteniamo corretto non dargli. Esempi classici: non vuole andare a dormire, non vuole fare i compiti, non vuole mangiare la pietanza nel piatto, ci fa impazzire dentro al negozio. Intanto come adulti dobbiamo capire se abbiamo fatto la richiesta nel tempo giusto, se abbiamo preparato prima nostro figlio, se gli abbiamo dato il tempo di terminare ciò che sta facendo dandogli precedentemente l’informazione che preannuncia per esempio che sta arrivando l’ora dei compiti piuttosto che il momento di mettersi a tavola. Oppure che abbiamo rispettato i suoi tempi andando a fare la spesa con lui; il bambino ha la  capacità di stare in un contesto per adulti (esempio dentro al supermercato, alla posta, in un negozio, ecc) piuttosto limitato, anche se ha 7-8 anni. 

Se si sono rispettati i suoi tempi, allora molto probabilmente il bambino sta cercando di fare braccio di ferro con i genitori, cerca di averli sotto controllo. Come dice Pellai nel suo libro “L’educazione emotiva” vuole prendervi per sfinimento. E’ importante che l’adulto non cada nella trappola emotiva di arrabbiarsi disattivando la parte cognitiva. Può servire contrattare, postergare la sua richiesta ad un altro momento oppure essere fermi con la voce e con la propria posizione di pensiero. In questa situazione si può dire qualcosa del tipo: “adesso stai proprio esagerando, ti ho detto di no e non c’è altra possibilità. Quello che mi stai chiedendo lo potremo fare domani ma adesso non è proprio fattibile. Se continui mi spiace davvero tanto ma sta sera devo proprio farti rinunciare al tuo cartone preferito. Decidi cosa vuoi fare, o fai adesso i compiti (oppure metti su quella maglia, o sistemi i giocattoli, ecc) oppure niente cartone animato. 

Nei casi in cui si da un restrizione (niente cartoni) si da per un tempo corto (es, sta sera) e si fa rispettare; questo significherà che si farà qualcos’altro con il bimbo esempio un gioco in scatola, un disegno, i chiodini, si plasma con il didò, ecc. Quindi non si rimane arrabbiati ma nel mantenere la restrizione si passa il tempo con il bambino in altro modo. Così facendo si rimettono in equilibrio i ruoli e man mano il bambino capirà che i no, qualora non si possa negoziare, rimarranno no.      

 
MAMMA GUARDA!
I primi approcci del bambino al bisogno di essere riconosciuto
Di Michela Romano, psicologa psicoterapeuta

 
Le prime parole dei bambini, si sa, sono mamma e papà. Ed è la soddisfazione più bella per i genitori essere riconosciuti nel proprio ruolo affettivo. Sono quelle parole che scaldano il cuore e che fanno comprendere al genitore di essere entrato davvero nel mondo emotivo del bambino.
Molto presto i bambini aggiungono al loro vocabolario un’altra parola magica che utilizzeranno per cominciare a fare le prime frasi per un tempo lungo: “mamma guarda”!
“Mamma guarda” in tutte le sue declinazioni, ovvero papà guarda, maestra guarda è una richiesta di riconoscimento fondamentale per la costruzione della sua identità e della sua autostima.
Vi sarà capitato mille volte che vostro figlio, il vostro alunno vi chieda di porre attenzione a qualcosa che vi sta mostrando. Che sia un gioco, un disegno, uno scarabocchio, le sue manine, il suo sorriso, la sua espressione buffa: è una richiesta di condivisione. A seconda della risposta che riceve il bimbo rafforza il suo senso di identità o, in alcuni casi, i suoi comportamenti distruttivi.
Come fare a rinforzare la sua autostima ed evitare comportamenti non adeguati?
E’ importante passare con il proprio bambino del tempo di qualità, giocando con lui, aiutandolo nella sperimentazione di giochi e materiali differenti. Oltre a presentare al bambino dei giochi già strutturati come per esempio i puzzle, è anche importante proporgli materiali che può usare con la libera fantasia. Lui inventerà figure, storie, farà rumori con la bocca, creerà personaggi e ad un certo punto dirà la meravigliosa frase: “mamma guarda!”. Il bambino si aspetta  che il caregiver sia supportivo, che lo gratifichi, che si stupisca positivamente per questa meravigliosa opera che arriva dalla sua fantasia. Non importa se quello che lui ha costruito ai nostri occhi non ha un reale senso, che potrebbe essere aggiustato o migliorato, quello è il momento per gratificare il suo impegno, la sua fantasia, la sua volontà: in questo modo andremo a nutrire la sua autostima
Se invece ci porremo come adulti che modificano quello che il bambino fa, che aggiustiamo la sua produzione lo faremo sentire poco capace. E man mano il bambino piuttosto che andare verso l’acquisizione di maggiori autonomie andrà verso la dipendenza.   
Può capitare che, sebbene passiamo con il bambino tempo di qualità, ci richiederà la nostra attenzione perché si sente messo da parte, magari semplicemente perché stiamo parlando con qualcun altro. In questo caso sarà importante porre amorevole attenzione al bimbo giusto per dirgli : “tesoro, finisco un attimino di parlare con il papà e poi sono da te”. In questo caso si insegna al bambino ad aspettare e il tempo dell’attesa sarà adeguata alla sua età.  
Ma se ci scordiamo di trascorrere del tempo con lui, se lo lasciamo sempre da solo nei suoi giochi, se ci facciamo prendere dalla quotidianità del nostro essere adulti allora il bambino richiederà la nostra presenza in modo assai chiaro: piuttosto che dire mamma guardami, urlerà, farà i capricci, distruggerà gli oggetti piuttosto che costruirli e noi ci arrabbieremo. Ma questo nostro comportamento non farà altro che stimolare inconsapevolmente la volontà del bambino a fare peggio. Perché succede questo? Perchè il bambino assocerà la nostra presenza al suo comportamento non adeguato. Dentro di sé dirà: “Se faccio il bravo nessuno mi guarda, se faccio il monello almeno qualcuno mi presta attenzione”. 
I capricci dei bambini devono essere di monito a noi per capire che qualcosa non sta funzionando per il verso giusto. Sarà importante capire di cosa ha bisogno nostro figlio, il nostro alunno e aggiustarci di conseguenza. Piuttosto che sgridarlo riflettiamo davvero su cosa sta accadendo nella relazione, in famiglia. 
Guardiamo le crisi, i momenti difficili come opportunità di crescita. 


 
MAMMA GUARDA!
I primi approcci del bambino al bisogno di essere riconosciuto
Di Michela Romano, psicologa psicoterapeuta

 
Le prime parole dei bambini, si sa, sono mamma e papà. Ed è la soddisfazione più bella per i genitori essere riconosciuti nel proprio ruolo affettivo. Sono quelle parole che scaldano il cuore e che fanno comprendere al genitore di essere entrato davvero nel mondo emotivo del bambino.
Molto presto i bambini aggiungono al loro vocabolario un’altra parola magica che utilizzeranno per cominciare a fare le prime frasi per un tempo lungo: “mamma guarda”!
“Mamma guarda” in tutte le sue declinazioni, ovvero papà guarda, maestra guarda è una richiesta di riconoscimento fondamentale per la costruzione della sua identità e della sua autostima.
Vi sarà capitato mille volte che vostro figlio, il vostro alunno vi chieda di porre attenzione a qualcosa che vi sta mostrando. Che sia un gioco, un disegno, uno scarabocchio, le sue manine, il suo sorriso, la sua espressione buffa: è una richiesta di condivisione. A seconda della risposta che riceve il bimbo rafforza il suo senso di identità o, in alcuni casi, i suoi comportamenti distruttivi.
Come fare a rinforzare la sua autostima ed evitare comportamenti non adeguati?
E’ importante passare con il proprio bambino del tempo di qualità, giocando con lui, aiutandolo nella sperimentazione di giochi e materiali differenti. Oltre a presentare al bambino dei giochi già strutturati come per esempio i puzzle, è anche importante proporgli materiali che può usare con la libera fantasia. Lui inventerà figure, storie, farà rumori con la bocca, creerà personaggi e ad un certo punto dirà la meravigliosa frase: “mamma guarda!”. Il bambino si aspetta  che il caregiver sia supportivo, che lo gratifichi, che si stupisca positivamente per questa meravigliosa opera che arriva dalla sua fantasia. Non importa se quello che lui ha costruito ai nostri occhi non ha un reale senso, che potrebbe essere aggiustato o migliorato, quello è il momento per gratificare il suo impegno, la sua fantasia, la sua volontà: in questo modo andremo a nutrire la sua autostima
Se invece ci porremo come adulti che modificano quello che il bambino fa, che aggiustiamo la sua produzione lo faremo sentire poco capace. E man mano il bambino piuttosto che andare verso l’acquisizione di maggiori autonomie andrà verso la dipendenza.   
Può capitare che, sebbene passiamo con il bambino tempo di qualità, ci richiederà la nostra attenzione perché si sente messo da parte, magari semplicemente perché stiamo parlando con qualcun altro. In questo caso sarà importante porre amorevole attenzione al bimbo giusto per dirgli : “tesoro, finisco un attimino di parlare con il papà e poi sono da te”. In questo caso si insegna al bambino ad aspettare e il tempo dell’attesa sarà adeguata alla sua età.  
Ma se ci scordiamo di trascorrere del tempo con lui, se lo lasciamo sempre da solo nei suoi giochi, se ci facciamo prendere dalla quotidianità del nostro essere adulti allora il bambino richiederà la nostra presenza in modo assai chiaro: piuttosto che dire mamma guardami, urlerà, farà i capricci, distruggerà gli oggetti piuttosto che costruirli e noi ci arrabbieremo. Ma questo nostro comportamento non farà altro che stimolare inconsapevolmente la volontà del bambino a fare peggio. Perché succede questo? Perchè il bambino assocerà la nostra presenza al suo comportamento non adeguato. Dentro di sé dirà: “Se faccio il bravo nessuno mi guarda, se faccio il monello almeno qualcuno mi presta attenzione”. 
I capricci dei bambini devono essere di monito a noi per capire che qualcosa non sta funzionando per il verso giusto. Sarà importante capire di cosa ha bisogno nostro figlio, il nostro alunno e aggiustarci di conseguenza. Piuttosto che sgridarlo riflettiamo davvero su cosa sta accadendo nella relazione, in famiglia. 
Guardiamo le crisi, i momenti difficili come opportunità di crescita. 


 
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I primi approcci del bambino al bisogno di essere riconosciuto
Di Michela Romano, psicologa psicoterapeuta

 
Le prime parole dei bambini, si sa, sono mamma e papà. Ed è la soddisfazione più bella per i genitori essere riconosciuti nel proprio ruolo affettivo. Sono quelle parole che scaldano il cuore e che fanno comprendere al genitore di essere entrato davvero nel mondo emotivo del bambino.
Molto presto i bambini aggiungono al loro vocabolario un’altra parola magica che utilizzeranno per cominciare a fare le prime frasi per un tempo lungo: “mamma guarda”!
“Mamma guarda” in tutte le sue declinazioni, ovvero papà guarda, maestra guarda è una richiesta di riconoscimento fondamentale per la costruzione della sua identità e della sua autostima.
Vi sarà capitato mille volte che vostro figlio, il vostro alunno vi chieda di porre attenzione a qualcosa che vi sta mostrando. Che sia un gioco, un disegno, uno scarabocchio, le sue manine, il suo sorriso, la sua espressione buffa: è una richiesta di condivisione. A seconda della risposta che riceve il bimbo rafforza il suo senso di identità o, in alcuni casi, i suoi comportamenti distruttivi.
Come fare a rinforzare la sua autostima ed evitare comportamenti non adeguati?
E’ importante passare con il proprio bambino del tempo di qualità, giocando con lui, aiutandolo nella sperimentazione di giochi e materiali differenti. Oltre a presentare al bambino dei giochi già strutturati come per esempio i puzzle, è anche importante proporgli materiali che può usare con la libera fantasia. Lui inventerà figure, storie, farà rumori con la bocca, creerà personaggi e ad un certo punto dirà la meravigliosa frase: “mamma guarda!”. Il bambino si aspetta  che il caregiver sia supportivo, che lo gratifichi, che si stupisca positivamente per questa meravigliosa opera che arriva dalla sua fantasia. Non importa se quello che lui ha costruito ai nostri occhi non ha un reale senso, che potrebbe essere aggiustato o migliorato, quello è il momento per gratificare il suo impegno, la sua fantasia, la sua volontà: in questo modo andremo a nutrire la sua autostima
Se invece ci porremo come adulti che modificano quello che il bambino fa, che aggiustiamo la sua produzione lo faremo sentire poco capace. E man mano il bambino piuttosto che andare verso l’acquisizione di maggiori autonomie andrà verso la dipendenza.   
Può capitare che, sebbene passiamo con il bambino tempo di qualità, ci richiederà la nostra attenzione perché si sente messo da parte, magari semplicemente perché stiamo parlando con qualcun altro. In questo caso sarà importante porre amorevole attenzione al bimbo giusto per dirgli : “tesoro, finisco un attimino di parlare con il papà e poi sono da te”. In questo caso si insegna al bambino ad aspettare e il tempo dell’attesa sarà adeguata alla sua età.  
Ma se ci scordiamo di trascorrere del tempo con lui, se lo lasciamo sempre da solo nei suoi giochi, se ci facciamo prendere dalla quotidianità del nostro essere adulti allora il bambino richiederà la nostra presenza in modo assai chiaro: piuttosto che dire mamma guardami, urlerà, farà i capricci, distruggerà gli oggetti piuttosto che costruirli e noi ci arrabbieremo. Ma questo nostro comportamento non farà altro che stimolare inconsapevolmente la volontà del bambino a fare peggio. Perché succede questo? Perchè il bambino assocerà la nostra presenza al suo comportamento non adeguato. Dentro di sé dirà: “Se faccio il bravo nessuno mi guarda, se faccio il monello almeno qualcuno mi presta attenzione”. 
I capricci dei bambini devono essere di monito a noi per capire che qualcosa non sta funzionando per il verso giusto. Sarà importante capire di cosa ha bisogno nostro figlio, il nostro alunno e aggiustarci di conseguenza. Piuttosto che sgridarlo riflettiamo davvero su cosa sta accadendo nella relazione, in famiglia. 
Guardiamo le crisi, i momenti difficili come opportunità di crescita. 


 
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I primi approcci del bambino al bisogno di essere riconosciuto
Di Michela Romano, psicologa psicoterapeuta

 
Le prime parole dei bambini, si sa, sono mamma e papà. Ed è la soddisfazione più bella per i genitori essere riconosciuti nel proprio ruolo affettivo. Sono quelle parole che scaldano il cuore e che fanno comprendere al genitore di essere entrato davvero nel mondo emotivo del bambino.
Molto presto i bambini aggiungono al loro vocabolario un’altra parola magica che utilizzeranno per cominciare a fare le prime frasi per un tempo lungo: “mamma guarda”!
“Mamma guarda” in tutte le sue declinazioni, ovvero papà guarda, maestra guarda è una richiesta di riconoscimento fondamentale per la costruzione della sua identità e della sua autostima.
Vi sarà capitato mille volte che vostro figlio, il vostro alunno vi chieda di porre attenzione a qualcosa che vi sta mostrando. Che sia un gioco, un disegno, uno scarabocchio, le sue manine, il suo sorriso, la sua espressione buffa: è una richiesta di condivisione. A seconda della risposta che riceve il bimbo rafforza il suo senso di identità o, in alcuni casi, i suoi comportamenti distruttivi.
Come fare a rinforzare la sua autostima ed evitare comportamenti non adeguati?
E’ importante passare con il proprio bambino del tempo di qualità, giocando con lui, aiutandolo nella sperimentazione di giochi e materiali differenti. Oltre a presentare al bambino dei giochi già strutturati come per esempio i puzzle, è anche importante proporgli materiali che può usare con la libera fantasia. Lui inventerà figure, storie, farà rumori con la bocca, creerà personaggi e ad un certo punto dirà la meravigliosa frase: “mamma guarda!”. Il bambino si aspetta  che il caregiver sia supportivo, che lo gratifichi, che si stupisca positivamente per questa meravigliosa opera che arriva dalla sua fantasia. Non importa se quello che lui ha costruito ai nostri occhi non ha un reale senso, che potrebbe essere aggiustato o migliorato, quello è il momento per gratificare il suo impegno, la sua fantasia, la sua volontà: in questo modo andremo a nutrire la sua autostima
Se invece ci porremo come adulti che modificano quello che il bambino fa, che aggiustiamo la sua produzione lo faremo sentire poco capace. E man mano il bambino piuttosto che andare verso l’acquisizione di maggiori autonomie andrà verso la dipendenza.   
Può capitare che, sebbene passiamo con il bambino tempo di qualità, ci richiederà la nostra attenzione perché si sente messo da parte, magari semplicemente perché stiamo parlando con qualcun altro. In questo caso sarà importante porre amorevole attenzione al bimbo giusto per dirgli : “tesoro, finisco un attimino di parlare con il papà e poi sono da te”. In questo caso si insegna al bambino ad aspettare e il tempo dell’attesa sarà adeguata alla sua età.  
Ma se ci scordiamo di trascorrere del tempo con lui, se lo lasciamo sempre da solo nei suoi giochi, se ci facciamo prendere dalla quotidianità del nostro essere adulti allora il bambino richiederà la nostra presenza in modo assai chiaro: piuttosto che dire mamma guardami, urlerà, farà i capricci, distruggerà gli oggetti piuttosto che costruirli e noi ci arrabbieremo. Ma questo nostro comportamento non farà altro che stimolare inconsapevolmente la volontà del bambino a fare peggio. Perché succede questo? Perchè il bambino assocerà la nostra presenza al suo comportamento non adeguato. Dentro di sé dirà: “Se faccio il bravo nessuno mi guarda, se faccio il monello almeno qualcuno mi presta attenzione”. 
I capricci dei bambini devono essere di monito a noi per capire che qualcosa non sta funzionando per il verso giusto. Sarà importante capire di cosa ha bisogno nostro figlio, il nostro alunno e aggiustarci di conseguenza. Piuttosto che sgridarlo riflettiamo davvero su cosa sta accadendo nella relazione, in famiglia. 
Guardiamo le crisi, i momenti difficili come opportunità di crescita. 


 
MAMMA GUARDA!
I primi approcci del bambino al bisogno di essere riconosciuto
Di Michela Romano, psicologa psicoterapeuta

 
Le prime parole dei bambini, si sa, sono mamma e papà. Ed è la soddisfazione più bella per i genitori essere riconosciuti nel proprio ruolo affettivo. Sono quelle parole che scaldano il cuore e che fanno comprendere al genitore di essere entrato davvero nel mondo emotivo del bambino.
Molto presto i bambini aggiungono al loro vocabolario un’altra parola magica che utilizzeranno per cominciare a fare le prime frasi per un tempo lungo: “mamma guarda”!
“Mamma guarda” in tutte le sue declinazioni, ovvero papà guarda, maestra guarda è una richiesta di riconoscimento fondamentale per la costruzione della sua identità e della sua autostima.
Vi sarà capitato mille volte che vostro figlio, il vostro alunno vi chieda di porre attenzione a qualcosa che vi sta mostrando. Che sia un gioco, un disegno, uno scarabocchio, le sue manine, il suo sorriso, la sua espressione buffa: è una richiesta di condivisione. A seconda della risposta che riceve il bimbo rafforza il suo senso di identità o, in alcuni casi, i suoi comportamenti distruttivi.
Come fare a rinforzare la sua autostima ed evitare comportamenti non adeguati?
E’ importante passare con il proprio bambino del tempo di qualità, giocando con lui, aiutandolo nella sperimentazione di giochi e materiali differenti. Oltre a presentare al bambino dei giochi già strutturati come per esempio i puzzle, è anche importante proporgli materiali che può usare con la libera fantasia. Lui inventerà figure, storie, farà rumori con la bocca, creerà personaggi e ad un certo punto dirà la meravigliosa frase: “mamma guarda!”. Il bambino si aspetta  che il caregiver sia supportivo, che lo gratifichi, che si stupisca positivamente per questa meravigliosa opera che arriva dalla sua fantasia. Non importa se quello che lui ha costruito ai nostri occhi non ha un reale senso, che potrebbe essere aggiustato o migliorato, quello è il momento per gratificare il suo impegno, la sua fantasia, la sua volontà: in questo modo andremo a nutrire la sua autostima
Se invece ci porremo come adulti che modificano quello che il bambino fa, che aggiustiamo la sua produzione lo faremo sentire poco capace. E man mano il bambino piuttosto che andare verso l’acquisizione di maggiori autonomie andrà verso la dipendenza.   
Può capitare che, sebbene passiamo con il bambino tempo di qualità, ci richiederà la nostra attenzione perché si sente messo da parte, magari semplicemente perché stiamo parlando con qualcun altro. In questo caso sarà importante porre amorevole attenzione al bimbo giusto per dirgli : “tesoro, finisco un attimino di parlare con il papà e poi sono da te”. In questo caso si insegna al bambino ad aspettare e il tempo dell’attesa sarà adeguata alla sua età.  
Ma se ci scordiamo di trascorrere del tempo con lui, se lo lasciamo sempre da solo nei suoi giochi, se ci facciamo prendere dalla quotidianità del nostro essere adulti allora il bambino richiederà la nostra presenza in modo assai chiaro: piuttosto che dire mamma guardami, urlerà, farà i capricci, distruggerà gli oggetti piuttosto che costruirli e noi ci arrabbieremo. Ma questo nostro comportamento non farà altro che stimolare inconsapevolmente la volontà del bambino a fare peggio. Perché succede questo? Perchè il bambino assocerà la nostra presenza al suo comportamento non adeguato. Dentro di sé dirà: “Se faccio il bravo nessuno mi guarda, se faccio il monello almeno qualcuno mi presta attenzione”. 
I capricci dei bambini devono essere di monito a noi per capire che qualcosa non sta funzionando per il verso giusto. Sarà importante capire di cosa ha bisogno nostro figlio, il nostro alunno e aggiustarci di conseguenza. Piuttosto che sgridarlo riflettiamo davvero su cosa sta accadendo nella relazione, in famiglia. 
Guardiamo le crisi, i momenti difficili come opportunità di crescita. 


Ogni grande traguardo viene raggiunto a partire da piccoli passi. Abbiamo iniziato condividendo una visione e l'abbiamo portata avanti. Ora la stiamo trasformando in una realtà sempre più grande.

Qui puoi presentarti brevemente e spiegare quello che fai. Cosa rende la tua attività unica? Come puoi aiutare i tuoi clienti? Non importa scrivere un romanzo, anzi: la maggior parte della gente non ha molta voglia di leggere su uno schermo, quindi è meglio essere brevi.



LAVORARE CON I BAMBINI FRAGILI.
I bimbi delle case famiglia.
Di Michela Romano, psicologa psicoterapeua 


L’allontanamento dei minori dalla famiglia è un’azione protettiva che permette all’intero nucleo – genitori e figli – di riflettere su ciò che ha causato un grande dolore emotivo, generalmente alla base di azioni poco consone al buon funzionamento familiare.
Se i genitori devono trovare il nucleo interno e successivamente relazionale che li ha portati ad essere genitori manchevoli di adeguate cure genitoriali, i figli dovranno fare un grosso lavoro su di sé per potere aggiustare il più possibile la dimensione del legame di attaccamento affinchè questo possa diventare il più vicino possibile all’attaccamento sicuro. 
Questo è un lavoro che gli operatori devono avere in mente al fine di offrire a questi bambini/ragazzi la possibilità di riparare la grande ferita interna. Offrire loro una adeguata quotidianità fatta di certezze, di pasti adeguati, di presenza di figure adulte centrate, affidabili e autorevoli permettere loro di vivere in un luogo protetto e sicuro, di essere fruitori di progetti educativi al fine di far loro esplorare esperienze di vita e di capacità di sé utili a nutrire la loro autostima assai spesso minata, sono obiettivi fondamentali. 
 
Ma l’esperienza terapeutica non può mancare proprio perché è fondamentale nutrire i loro nuclei interni assai spesso fragili.
Tale fragilità, l’età giovane, la distanza dai genitori, spesso non permette ai bambini di potere lavorare adeguatamente in uno spazio terapeutico classico. Le ferite sono profonde, la difficoltà inconscia di fidarsi di adulti che per lungo tempo non li hanno “visti” e protetti non permette loro di affidarsi, hanno una paura inconscia di abbandonare i loro sintomi che in qualche modo li hanno fatti rimanere in vita e condurre in qualche modo la loro esistenza. 
 
Da qui la possibilità di potere offrire a questi bambini uno spazio di psicoterapia a mediazione animale. Questa presenza – del cane, gatto, asino, cavallo – permette al bambino e all’adolescente di incontrare il proprio sé altrove, nell’animale che funge da specchio relativamente alle emozioni. Nello stesso tempo ha una funzione importante di maternage e presenza rassicurante. L’animale con il suo non giudicare, con il suo esserci, con la sua presenza solida, con la sua capacità di entrare in relazione, con la sua empatia è in grado di cogliere le emozioni dell’altro e di rispondere adeguatamente e in modo sintonico. Ed è quello che assai spesso è mancato ai bambini cresciuti in famiglie disfunzionali o poco funzionali. 
Il cane o il gatto, all’interno di un contesto psicoterapico e dunque con la presenza di uno psicoterapeuta possono avere proprio la funzione di sintonizzazione emotiva che favorisce nel minore la sensazione – fino a diventare consapevolezza – di essere riconosciuto e dunque di ESISTERE. 
 
La possibilità di potere lavorare nel tempo con più animali permette di cogliere meglio i bisogni dell’utente e di fornire gli stimoli più adeguati affinchè l’esperienza possa essere incarnata e dunque essere più ripartiva possibile. Il cavallo potrebbe per esempio permettere loro di lavorare sulla capacità di reggere le frustrazioni, di affidarsi completamente all’altro o, al contrario, di essere assertivo con l’altro dovendo relazionarsi e farsi comprendere e rispettare da un essere molto più grande di noi e soprattutto molto ingombrante. L’asino ci permette di vivere una dimensione di vicinanza e di silenzio rispetto al non fare e ad accogliere anche questa opportunità:  la piacevolezza del non fare. 
 
E’ possibile curare le ferite psichiche definitivamente? Questo dipende da tantissimi fattori: qualità dell’esposizione pregressa degli eventi familiari, ambiente di vita attuale, spostamento della famiglia relativamente ai nuclei affettivi manchevoli, aspetti cognitivi e di costrutti interni dell’utente, esperienze di vita attuali e future. 
Fra l’altro, gli operatori sanno, ciò che offriamo ai nostri utenti adesso, che sia educativo o terapeutico, non sempre si osserva come risultato emotivo, intrapsichico e relazionale attuale. Il nostro lavoro permette però a questa utenza di arricchirsi di esperienze positive, nutritive che comunque albergheranno dentro di loro. E quando saranno pronti, se le esperienze di vita successive glielo permetteranno, se decideranno di prendere un strada di vita migliore rispetto a quella di origine avremo arricchito le loro esperienze intrapsichiche e interpsichiche e offerto loro una grande chance. 
Ciò che deve essere nel nostro patrimonio di operatori (educatori, psicologi, psicoterapeuti, ecc) è la consapevolezza del nostro buon operato e la capacità di accettazione incondizionata dell’altro. Frustrazione, rabbia, senso di inefficacia, delusione e tutte quelle emozioni che i nostri utenti possono farci provare dobbiamo saperle gestire e non farle ricadere su di loro a rischio di ripetere le esperienze negative delle loro relazioni primarie.
Gli animali in questo sono maestri, si nutrono delle relazioni presenti, non sono giudicanti, sono in grado di essere centrati e non identificarsi in termini negativi con le emozioni altrui. In questo modo restituiscono, all’interno di una relazione, la loro capacità di stare e di offrire una dualità pulita e rassicurante. 

 

 


I BIMBI MAESTRI DI AMORE E FELICITA’.
La costruzione dell’autostima con gli IAA
Di Michela Romano, psicologa psicoterapeuta, Presidente di Gea Centro studi per gli IAA

Di cosa hanno bisogno i bimbi? Di meravigliarsi, di sperimentare, di tirare fuori da sé per potere credere nel valore delle proprie capacità!
Ed è così che noi di Gea Centro Studi per gli IAA entriamo nei posti dei bambini. Nel portare nei nidi e scuole dell’infanzia progetti educativi con gli animali, la vecchia pet therapy, ciascuno di noi entra con pensieri pedagogici importanti. Ed ecco che i nostri progetti di Educazione Assistita con gli Animali (EAA) si trasformano in esperienze significative, gratificanti e di apprendimento per i bimbi. Come? Partendo dal loro sentire, sintonizzandoci con le loro emozioni e accogliendo le loro curiosità. Ci mettiamo alla loro altezza in modo tale che gli sguardi possano incrociarsi, che i bambini possano accoglierci nel loro mondo fatto alla loro altezza, ci sintonizziamo con il loro sentire in modo da stare con loro in modo empatico.
Questo lo facciamo noi persone riferendoci non solo al buon senso ma alle teorie di riferimento cui ci rifacciamo. Gli animali invece lo fanno perché il loro essere, il loro modo di relazionarsi tra animali e persone si basa proprio su quei principi: accoglienza, ascolto emozionale ed empatico, giusta distanza fisica ed emotiva. E i bimbi colgono perfettamente questa presenza autentica degli animali: niente troppi pensieri, niente sovrastrutture che riempiono la testa di “se e di ma”. Gli animali specie quelli inseriti negli IAA sono speciali perché cresciuti in modo sano, pensando al loro benessere e al loro equilibrio interno. E questa attenzione amorevole ed attenta che ricevono grazie alla preparazione per lavorare negli IAA ce la restituiscono tutta durante gli incontri: sono presenti, sanno stare, sono delicati, sono aperti, sanno leggere le emozioni altrui, sanno mettere e darsi limiti sani e costruttivi.
Tutta questa attenzione risuona in modo positivo nei posti dei bambini contribuendo a offrire loro gli strumenti per strutturarsi con una buona autostima. Mi piace molto la definizione che Nathaniel Branden da dell’autostima: "la predisposizione a considerarsi competente per affrontare le sfide fondamentali della vita e sentirsi degni di felicità". Ecco perché le attività che noi facciamo con i bambini sono poco strutturate; se il setting è pensato e preparato in modo adeguato, accogliente e sicuro per i bimbi, se i materiali a disposizione possono essere stimolanti per loro, preferiamo che le attività possano crearle loro, possano loro trovare il modo buono affinchè le loro azioni possano portare sorpresa, interesse, curiosità. In questo modo si sentono competenti perché sono consapevoli di aver creato loro i giochi che stanno attuando. Noi siamo lì a giocare con loro, a sperimentare, a ripetere le loro azioni sorprendendoci e lodandoli per quello che stanno facendo e che ci stanno facendo sperimentare. Questa vicinanza emotiva ci permette di intervenire in alcuni momenti per potere proporre loro una azione, un movimento che magari nel loro schema motorio non è così radicato: grazie alla vicinanza emotiva che si instaura con questo modo di lavorare, i bimbi sono disponibili ad imitarci e quindi inserire nel loro schema motorio o di pensiero un nuovo elemento di conoscenza. 
E gli animali? Sono lì con loro, ad osservarli, a compartecipare ad alcune attività, a ricevere i doni delle loro creazioni, ad imparare i percorsi che i bimbi costruiscono per loro. I bimbi sono i maestri degli animali e questi allievi a 4 zampe sono davvero felici di ricevere questi insegnamenti offerti con amore e felicità. 
 


 
LAVORARE SUL BENESSERE: QUALI RICHIESTE?
Di Michela Romano, psicologa psicoterapeuta

Quello attuale è un periodo di grandi punti di domanda che spesso non hanno una risposta. E questo genera rabbia, stanchezza, preoccupazione fino ad arrivare alla paura. 
Gli ordini degli psicologi già dallo scorso anno dicevano che le richieste sarebbero aumentare: e così è stato. Le famiglie sono in difficoltà emotiva, ai bimbi sta mancando la spensieratezza delle corse fuori, agli adolescenti gli incontri in centro e gli amori vissuti con mani che si sfiorano e si intrecciano e, a tutti, la libertà di potere progettare gite, cene, piccole o grandi vacanze e corse fuori porta. 

Lo stress diventa fortemente distress e quindi, chi può, chi sa chiedere aiuto chiama lo psicologo, partecipa a corsi per ricaricarsi, per ritrovare la sana energia e l’equilibrio perduto. 
E quando questi percorsi possono essere fatti in natura, in spazi verdi, aperti e accoglienti si riceve, oltre alla presenza e alle competenze del professionista, anche la potenza delle piante, della terra, del vento e del sole. 

I nostri pazienti sono davvero felici di potere ricevere giovamento in questi contesti, dove tutto diventa più naturale e anche meno preoccupante: si sa, all’esterno, con le giuste distanze e le protezioni i rischi di contagi praticamente si azzerano. E quindi grandi e bambini possono portare i loro vissuti in un posto “sicuro”. E’ proprio così: sicuro perché sai che tutto ciò che porti rimane lì visto che il professionista ha il segreto professionale, sicuro perché gli spazi aperti sono più sicuri dal punto di vista dei contagi, sicuro perché la presenza dell’animale ti fa stare bene e ti restituisce, con gentilezza, col suo modo di muoversi, di starti accanto o di allontanarsi alcune parti di te su cui puoi lavorare.

E’ davvero interessante riconoscere una nostra preoccupazione nell’atteggiamento del cane che si avvicina a noi con fare molto timido e che non arriva al contatto pieno, a venirti proprio vicino; cosa sta raccontando di te? Sei davvero sereno in quel momento o c’è qualcosa che ti preoccupa? E quindi gli approfondimenti psicologici si fanno davvero tanti e intensi. Cosa ci raccontano le asine che si stanno montando e tu hai appena parlato del tuo conflitto con una persona che ti ha fatto stare davvero male e che vuoi allontanare da te?

Messaggi davvero importanti questi: in molti già avevano scelto di lavorare su di sé attraverso la natura e gli animali, ma tantissime altre persone no. Questo periodo sta permettendo ai più scettici di avvicinarsi anche a questo mondo e stanno davvero cogliendo la sua preziosità. Certo, ci sono le opzioni: sedute on line – che comunque hanno la loro funzionalità e danno ottimi risultati, andare in studio, posto da sempre conosciuto ma che adesso manca di quel calore dell’accoglienza piena perché è tutto disinfettato, c’è un posto per tutto – dove mettere la borsa, non poggiare le mani sul tavolo, le sedie di materiale sanificabile, si chiede scusa ad ogni colpo di tosse. E poi c’è la natura: con il prato su cui sedersi, con le foglie da accarezzare, con il sole da guardare e gli animali che ci vengono a dire di cosa abbiamo bisogno.

Ecco quello che è diventata la nostra quotidianità: con i bimbi e con gli adulti. Tutti felici di potere fare esperienze rigeneranti in contesti sicuri a accoglienti. 

 


MAMMA E PAPA’ FATE VOI PER ME:
L’importanza di un intervento precoce.
Di Michela Romano, Psicologa e Psicoterapeuta.
 
 
Patrizia, nome di fantasia, è una bimba di 4 anni.
I genitori si rivolgono a me perché la bimba alla scuola materna interagisce poco con i compagni e soprattutto in modo sbagliato. Patrizia non vuole condividere i giochi, non riconosce le emozioni dell’altro e passa all’agito in modo assai veloce: graffia, urla e piange.
Patrizia ha frequentato il nido, dove anche lì le interazioni con i compagnetti e le educatrici non sempre sono state facili e per tanto tempo sembrava si isolasse; poi per fortuna questo aspetto si è modificato.
Vengono da me perché sanno che io e il mio gruppo di lavoro lavoriamo con la pet therapy, ci hanno conosciuto proprio al nido e pensano che questo aiuto possa fare al caso loro.
Inizialmente decido di vedere i genitori per aiutarli negli aspetti educativi: i risultati ci sono molto presto. Maggiori autonomie, Patrizia supera la paura del water e gli interessi si diversificano: per lungo tempo Patrizia era attratta solo da un tipo di gioco e i genitori per accontentarla e renderla felice le proponevano sempre quell’attività.
Il nostro gruppo di lavoro (Gea Centro Studi per gli IAA) aveva in programma un laboratorio per i bimbi dell’età di Patrizia, “La Chiocciolina che insegnava la gentilezza” ma non c’erano posti liberi; il Covid ci porta a fare gruppetti davvero piccoli. Il caso vuole che si libera un posto. Patrizia si inserisce nel nostro progetto. Con gli altri bimbi, accompagnati da Pedro, un magnifico volpino dal fare assai dolce, esploriamo il territorio, giochiamo con la neve, seguiamo le frecce che ci portano alla casa delle chioccioline, troviamo indizi per dei giochi che la chiocciolina ci propone, troviamo anche dolcetti che la chiocciolina ci offre e ci divertiamo davvero tanto. Meglio, gli altri bambini si divertono. Patrizia segue il gruppo non sapendo spesso cosa fare, non comprendendo le consegne e partecipando solo se molto indirizzata. Poi per fortuna comincia ad imitare i giochi di Luca. La manualità è scarsa, pochi sorrisi, poche parole. 
La maestra di scuola continua a dirmi che non gestisce le emozioni, non accoglie gli altri bambini nei suoi giochi, che fa male agli altri. 
Il progetto della Chiocciolina è giunto al termine, erano pochi incontri. Mi ha permesso di fare una osservazione della bambina e di vedere come si relaziona con gli altri. In realtà, sebbene interagisce poco, non è mai stata aggressiva; forse il piccolo gruppo fa per lei. 
Ma decido di fare un passo indietro. E propongo ai genitori di lavorare con lei in presenza della sua mamma. E’ una modalità che utilizzo molto con i bimbi in quanto mi permette di osservare la relazione e per la mamma è una modalità per apprendere nuovi modi per relazionarsi con il figlio. E soprattutto ricominciare a giocare davvero: purtroppo noi adulti ci scordiamo come si gioca e diventiamo troppo seri e con poca fantasia. 
Patrizia è contenta di tornare in quel posto, lo conosce già dal precedente laboratorio. Non si stacca dalla mamma, ma è ben felice di mettere le mani nella terra: costruiamo montagne, corsi d’acqua, con i sassi costruiamo ponti e abitazioni. Scopro una Patrizia diversa, intraprendente, con un bellissimo e ricco gioco simbolico e nello stesso tempo anche con buone difficoltà di accettare proposte anche di piccolo cambiamento sempre all’interno del suo gioco. Capisco che dobbiamo lavorare su questo. La madre mi dice che in realtà a casa non sistema i suoi giocattoli, che non riordina, che non collabora e loro la lasciano stare. In quel momento capisce anche l’importanza di questo aspetto e quindi decide di applicare la mia stessa modalità per farle riordinare almeno qualche pezzo di gioco. 
La settimana successiva è gia più collaborante. C’è l’incontro con il Gatto Rudy, un meraviglioso ragdoll interessato alle persone ma che sa anche stare al suo posto. Patrizia inizialmente è un po’ preoccupata; il gatto se lo rappresenta come poco controllabile, non è più lei a decidere la relazione, Patrizia ha paura che il gatto possa decidere di andare troppo vicino, di toccare i suoi giochi, insomma di entrare nel suo spazio intimo. In realtà Rudy non fa nulla di tutto questo e quindi Patrizia ricomincia a giocare in modo sereno accogliendo la presenza silenziosa del gatto e l’interazione con me si fa molto più importante. Comincia ad allontanarsi dalla mamma, accoglie presto una mia proposta di modifica del suo gioco; inizialmente rimane con la sua attività, apparentemente non mi guarda, ma dopo qualche minuto comincia a imitarmi: la terra non è più solo un possibilità di fare palline, ma creiamo la pizza, le patate, le montagne, ecc. Stiamo davvero giocando insieme facendo entrambi proposte accolte dall’altro. E in questa interazione inclusiva permette a Rudy di osservare da vicino. 
Il passo successivo è stato quello di rispettare il materiale altrui, lo distruggeva velocemente oppure lo utilizzava senza chiedere il permesso e si sa, se queste azioni le fa con i bambini partono pianti e litigi. La parolina “Posso” diventa un must! Passiamo al didò, si diverte a costruire le famiglie di animali, di metterle in un posto sicuro mentre continuiamo a giocare con l’altra plastilina, e nel gioco include la mamma, il coadiutore, la tirocinante. Adesso è aperta al gioco condiviso e la mamma sta comprendendo meglio come chiederle le cose, come aspettare anziché fare al suo posto, come gestire i suoi pianti quando si oppone a certe richieste. 
Anche a scuola Patrizia ha incluso nel suo gioco un altro bambino, col terzo fa più fatica, ma già è un grandissimo successo in pochissime settimane di lavoro, solo 6. Gestisce anche meglio le emozioni. Già, stiamo lavorando anche su queste. Con le faccine del sole stiamo lavorando sulle emozioni quali la felicità, la tristezza e la rabbia. Il gatto è sempre più presente e anche Pedro partecipa ai nostri giochi spingendoci sempre di più a interagire e portare a termine compiti che fanno piacere all’altro e non solo a noi. 
Patrizia si sta aprendo ad un mondo dove è incluso anche l’altro. Prima la sua dimensione di figlia unica non le permetteva di fare questo salto evolutivo. E il covid ha esacerbato questo aspetto a causa dell’impossibilità di incontrare bambini al parco, con nidi e scuole chiuse. 
Il nostro lavoro continua, i genitori sono molto più sereni e speriamo di potere rientrare a scuola il più presto possibile. 
 
I genitori di Patrizia sono stati davvero capaci di mettersi in discussione e capire che nella relazione con la figlia qualcosa doveva davvero cambiarla. Ogni bambino è a sé e ha bisogno di modalità relazionali diverse. I genitori di Patrizia non stavano sbagliando, ma la bimba aveva bisogno di alcune modalità di gestione specifiche perchè ognuno di noi è unico, siamo tutti diversi e quindi ciò che vale per uno non è detto che vada bene per un altro.  Un intervento fatto così presto, senza aspettare l’arrivo alla scuola primaria, ha permesso a Patrizia di lavorare presto e meglio su aspetti che altrimenti si sarebbero rinforzati in modo negativo e poi l’intervento psicoeducativo risulta più lungo e complesso.  


LA PSICOLOGIA A SUPPORTO DELLE PERSONE.
Come evitare di cadere nel buco nero causato dalla pandemia e dalla sindemia.
Di Michela Romano, psicologa psicoterapeuta

Il 2020 si è aperto con un problema sanitario davvero importante che, con il prolungarsi della sua presenza, ha messo in discussione anche la capacità di resilienza delle persone più dotate di tale capacità.
Ad oggi siamo ancora nel pieno del vortice di questa emergenza e nessuno sa quando torneremo alla nostra amata tranquillità.
Il Covid 19 da problema sanitario si è trasformato in problema sociale, economico, culturale andando ad impattare in modo assolutamente forte il nostro equilibrio interno producendo malessere psichico. Non si parla più di pandemia ma purtroppo di SINDEMIA.
Di questo ha parlato la Società Italiana di Neuro Psico Farmacologia (SINPF) durante un convegno nazionale. I dati sono preoccupanti: metà delle persone contagiate manifesta disturbi psichiatrici con un’incidenza del 42% di ansia o insonnia, del 28% di disturbo post-traumatico da stress e del 20% di disturbo ossessivo-compulsivo; inoltre il 32% di chi è venuto in contatto col virus sviluppa sintomi depressivi, un’incidenza fino a cinque volte più alta rispetto alla popolazione generale.
Matteo Balestrieri, Professore ordinario di Psichiatria all’Università di Udine afferma: “Con il prolungarsi dello stato di emergenza e delle restrizioni alla socialità, al lavoro, alla possibilità di programmare un futuro, anche chi non è stato contagiato è sull’orlo di una crisi di nervi: dopo una fase iniziale in cui si è fatto il possibile per resistere e si combatteva soprattutto la paura del virus, ora sono subentrati l’esaurimento, la stanchezza, talvolta la rabbia. E ciò che preoccupa è soprattutto l’ondata di malessere mentale indotta dalla crisi economica: le condizioni ambientali e socio-economiche hanno infatti un grosso peso sul benessere psichico della popolazione e la pandemia di Covid-19 sta creando le premesse per il dilagare del disagio».
A rischio importante anche i giovani, i ragazzi che stanno rinunciando a tantissime cose: alla spensieratezza, agli incontri pomeridiani, alle serate con gli amici, alla possibilità di sperimentarsi nei primi amori, alla scuola, alla doverosa vita oltre le mura domestiche. E’ anche vero che ci sono ragazzi che col tacito accordo con i genitori che vedono la loro sofferenza accordano uscite realmente non dovute; ma cosa significa questo a livello più profondo?
E’ un problema davvero complesso che però va preso in mano per trovare strategie che ci permettano di stare in salute, rinforzare continuamente le nostre parti sane e resilienti concedendoci dei momenti per nutrire il nostro Sé interiore.
Un compito importante è dato proprio agli psicologi che potranno accompagnare in percorsi di prevenzione e cura chi decide di concedersi dei momenti per stare bene, per capire come aiutarsi nella quotidianità, per reggere quando arriva il momento di fragilità e sofferenza.
E’ importante creare spazi per evitare di toccare il fondo, per allenarsi a stare bene, a vivere in modo positivo anche i piccoli momenti di serenità quotidiana. In questo ci aiutano tanto la psicologia positiva, le tecniche corporee, la respirazione che arrivano dritte al cuore offrendoci strategie per ritrovarci, centrarci e stare meglio.
E gli animali? Certo, ci sono anche loro che possono offrirci quella semplicità, quel contatto, quel calore in un interscambio ricco di emozioni positive.

Fonti:
https://www.panoramasanita.it/2021/01/27/covid-19-sindemia-da-1-milione-di-nuovi-casi-di-disagio-mentale/
http://www.nbst.it/822-pandemia-covid-19-%C3%A8-anche-sindemia-disuguaglianze.html
 
https://formazionecontinuainpsicologia.it/pandemia-covid-19-sindemia-disagio-mentale/?utm_source